ROSIGNANO SOLVEY
Piccole falene colorate in campo bianco. Attratte da colori abbaglianti e irreali, cercano il bello a buon mercato. Poco importa se falso. Sono animali diurni che sbattono sull’irrealtà di un luogo violentato eppure bellissimo. Spiaggia e mare da cartolina caraibica, provincia di Livorno. Un continuo nonsense, un pericoloso desiderio. Le Spiagge Bianche di Rosignano Solvay, cento anni di scarichi chimici vissuti in maniera disinvolta. Qui producono soda dal 1913 e sversano in mare gli scarti di una lavorazione che ha sconvolto l’immaginario collettivo regalando agli occhi un arenile di sabbia bianchissima e un’acqua dal colore turchese. Tutto proviene dal fosso bianco, un lattiginoso fiumicello che collega la fabbrica al mare e impone a essa il cambio cromatico. Finto, plastico, chimico. La gente arriva in massa e si appropria di un non luogo. Il tutto a pochi metri dalle ciminiere della Solvey, gigante belga che fu di quell’Ernest Solvey capace di vedere in questo angolo di Toscana un sicuro sviluppo dei suoi affari. Le piccole falene fanno finta di non vedere. Loro si nutrono di questa finzione inquinata e inquinante. Oltre che inquietante. Arsenico, cadmio, cromo e mercurio sono sostanze destinate a rimanere sulla tavola periodica degli elementi, non certo sotto i loro ombrelloni. Non sulla loro pelle, nei loro polmoni. Vige il principio del racchettone: divertimento spensierato senza domande. È così bello qui. Ma qui dove? Domanda che presuppone una conoscenza dei rischi declinati alla voglia di svago. Dall’alto sembra tutto disegnato, dal basso sembra tutto allucinato. Benvenuti al teatro dell’assurdo in salsa soda, caustica. Noi che in campo bianco vediamo falene colorate senza accorgerci che questa luce cattura solo chi non vuole vedere. E pensare. D’altra parte…e così bello qui. E chi siamo noi per negarlo?
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